Dalla lettura degli artt. 30 Cost. 147 e 315 bis cc si desumono gli obblighi dei genitori e i diritti del figlio ad essere mantenuto, educato, istruito e assistito moralmente dai genitori stessi nel rispetto delle sue capacità, delle sue inclinazioni naturali e delle sue aspirazioni. La violazione di tali doveri comporta il risarcimento dei danni sofferti e trova la sua principale fonte di prova nelle presunzioni semplici di cui all′art 2729 cc La Corte di Cassazione (VI Sez. Civ., sent. 16 Febbraio 2015 n. 3079) giunge a tale risultato come naturale conseguenza di pilastri normativi presenti nel nostro ordinamento e per cui lobbligo dei genitori di provvedere al mantenimento, istruzione, educazione, ed assistenza morale dei figli sorge con la nascita del figlio stesso ( artt. 147, 148, 261 c.c. ) e ciò a prescindere da eventuale domanda. Il caso di specie si inserisce nella più vasta problematica della responsabilità aquiliana nei rapporti familiari oggetto di una rielaborazione condotta sotto il profilo della tutela dei diritti fondamentali della persona. Da tempo, la giurisprudenza ha enucleato la nozione di "illecito endofamiliare", secondo la quale, la violazione dei relativi doveri familiari nel caso in cui la stessa provochi la lesione di diritti costituzionalmente protetti, può integrare gli estremi dell′illecito civile e dare luogo ad un′autonoma azione volta al risarcimento dei danni non patrimoniali ai sensi dell′art. 2059 c.c. E in tale ambito non può che rientrare il disinteresse dimostrato da un genitore nei confronti di un figlio, che, determina un′immancabile ferita di quei diritti nascenti dal rapporto di filiazione, che trovano nella carta costituzionale e nelle norme di natura internazionale recepite nel nostro ordinamento un elevato grado di riconoscimento e di tutela. La privazione della figura genitoriale paterna, quale punto di riferimento fondamentale soprattutto nella fase della crescita, integra "un fatto generatore di responsabilità aquiliana" c.d. endofamiliare la cui prova, secondo la S.C. può essere offerta "sulla base anche di soli elementi presuntivi", considerando "la particolare tipologia di danno non patrimoniale in questione, consistente nella integrale perdita del rapporto parentale che ogni figlio ha diritto di realizzare con il proprio genitore e che deve essere risarcita per il fatto in sè della lesione (Cass. 22.6.2014 n 16657). Linadempimento degli obblighi genitoriali nei confronti della prole per un periodo di tempo rilevante integra unomissione (e dunque un illecito) di tipo permanente e non la reiterazione di singoli illeciti istantanei. La sentenza della Cass. civ. Sez. VI 2, Ord., 28-07-2020, n. 16001 chiarisce che si configura un illecito permanente in tutti i casi in cui la durata delloffesa è correlata sul piano eziologico al contestuale permanere della condotta colpevole dellagente. Con la lunga e articolata motivazione dellordinanza 18 novembre 2019 - 10 giugno 2020, n. 11097, i giudici della Terza Sezione Civile della Corte di Cassazione affrontano il delicato tema dellillecito c.d. endofamiliare: un uomo di 43 anni conveniva in giudizio il proprio padre, chiedendo che venisse condannato al risarcimento dei danni, patrimoniali e non, conseguenti alla violazione degli obblighi genitoriali. In particolare, i giudici chiariscono che la violazione degli obblighi genitoriali, protratta per un arco di tempo rilevante, ha natura di illecito permanente (e non istantaneo ad effetti permanenti), con indubbie conseguenze in punto di prescrizione. La particolare tipologia di danno che ne consegue, tale da incidere pesantemente sulla sfera psicologica e formativa del danneggiato, impone che il decorso prescrizionale abbia inizio nel momento in cui la vittima di abbandono genitoriale è concretamente in grado di esercitare il diritto al risarcimento. La Terza Sezione Civile della Corte di Cassazione affronta quindi il tema della natura dellillecito c.d. endofamiliare e delle relative conseguenze in termini di prescrizione. Lo fa muovendo dalla genesi della fattispecie, emersa negli ultimi decenni a seguito del doveroso superamento della concezione tradizionale della famiglia patriarcale: non più un istituto pubblicistico intangibile dalla tutela risarcitoria aquiliana, ma un ambito in cui possono verificarsi condotte contrarie ai precetti legislativi, siano essi norme ordinarie atte a regolare il rapporto familiare, o veri e propri valori costituzionali o sovranazionali. La violazione di questi valori è dunque attualmente ascrivibile anche allambito di tutela dellart. 2059 c.c., quale fonte di danno non patrimoniale risarcibile. Entro la fattispecie di danno endopatrimoniale può individuarsi quello relativo al rapporto di coniugio o di unione e quello inerente invece il rapporto genitoriale; può inoltre distinguersi una diversa tipologia di danno a seconda che lillecito che ne è causa sia permanente oppure istantaneo. La Suprema Corte, dopo un lungo excursus giurisprudenziale sul tema si concentra sulla specifica tipologia di danno endofamiliare oggetto di causa. Tenendo presente il consolidato insegnamento giurisprudenziale per cui "Nel fatto illecito istantaneo la condotta dell′agente si esaurisce prima o nel momento stesso della produzione del danno, mentre in quello permanente essa perdura oltre tale momento e continua a cagionare il danno per tutto il corso della sua durata, onde si ha un rapporto di consequenzialità immediata e diretta fra la durata della condotta e quella della produzione del danno, fino alla cessazione della condotta stessa. Pertanto, nella prima ipotesi la prescrizione incomincia a decorrere con la prima manifestazione del danno (ed è indifferente che questo si protragga nel tempo o si aggravi o sia seguito da un ulteriore danno autonomo); nella seconda, invece, protraendosi la verificazione dell′evento in ogni momento della durata del danno e della condotta che lo produce, la prescrizione ricomincia a decorrere ogni giorno successivo a quello in cui il danno si è manifestato per la prima volta, fino alla cessazione della predetta condotta dannosa". In sostanza la Corte osserva che l′illecito endofamiliare nel rapporto genitoriale può essere istantaneo o permanente. Nel primo caso, la violazione degli obblighi genitoriali consiste in una singola condotta inadempiente, la cui natura (attiva od omissiva) ha comunque rilievo tale da attingere il disvalore costituzionale (così Cass. sez. 3, 8 aprile 2016, n. 6833). Se invece il genitore si estranea completamente per un periodo protratto o comunque significativo dalla vita della prole, il relativo illecito ha natura permanente. Ed è proprio la considerevole protrazione temporale in sé a portare la condotta illecita ad un livello di disvalore così alto come quello costituzionale, mentre se investisse un arco di tempo limitato e fosse dunque episodica (ad esempio giornaliera), violerebbe solo le norme ordinarie relative agli obblighi genitoriali.Labbandono parentale, chiarisce la Cassazione, consiste quindi nel mancato adempimento di tutti gli obblighi genitoriali nei confronti della prole, protratto per un arco temporale minimo di un certo rilievo. Una completa e costante assenza del genitore nella vita filiale, che è un perfetto esempio di omissione permanente, ontologicamente diversa dalla reiterazione di singoli illeciti istantanei. Illecito endofamiliare e danno non patrimoniale (ordinanza 18 novembre 2019 - 10 giugno 2020, n. 11097) Il protratto abbandono della prole da parte del genitore integra dunque un illecito endofamiliare a natura permanente, cui consegue un danno non patrimoniale, di tipo strettamente psicologico-esistenziale, che incide direttamente sulla formazione della personalità del danneggiato e ne condiziona lo sviluppo delle capacità di comprensione ed autodifesa. La giurisprudenza di legittimità lo ha definito la violazione del diritto alla relazione filiale da cui discende il nucleo costitutivo originario dellidentità personale e relazionale dellindividuo, che dà luogo a ripercussioni personali e sociali derivanti dalla consapevolezza di non essere mai stati desiderati ed accolti come figli (così Cass. Sez. I, 22 novembre 2013, n. 26205). Le conseguenze sulla prescrizione (ordinanza 18 novembre 2019 - 10 giugno 2020, n. 11097) La peculiare natura del danno endofamiliare ha indubbie conseguenze anche in termini di prescrizione. E infatti necessario che il riconoscimento del diritto al risarcimento sia rapportato alla concreta possibilità di esercitarlo e lo stesso vale per il decorso prescrizionale. Il dies a quo si identifica infatti con il momento in cui la vittima di abbandono parentale si svincola dallistintivo desiderio di un rapporto positivo con il genitore, raggiungendo la capacità di percepire autonomamente la reale situazione fonte di pregiudizio ed assumere decisioni reattive di contrasto con la persona desiderata, accettando lilliceità della condotta genitoriale e agendo per il risarcimento dei danni subiti in qualità di figlio rifiutato. In conclusioni, la Corte di Cassazione ha accolto il ricorso sopra citato e fissato i predetti principi in ordine alla natura permanente dellillecito endofamiliare e alla determinazione del dies a quo prescrizionale. Mentre le valutazioni operate dalla Corte dAppello vanno del tutto disattese, dal momento che ha irragionevolmente concluso che il figlio non avesse subito alcun danno dallabbandono paterno perchè fin dalla nascita si sarebbe abituato a vivere senza di lui, come a dire che un totale disinteresse non sarebbe mai fonte di danno poiché chi (come il figlio, abbandonato dal genitore) non ha mai avuto nulla, nulla potrebbe neanche perdere. Un ragionamento che oltre a violare lobbligo costituzionale di motivazione svuota del tutto lillecito endofamiliare, neutralizzando il relativo diritto risarcitorio. Muovendo da tali considerazioni la Corte ha quindi accolto il ricorso, cassando la sentenza impugnata e rinviando ad altra sezione della Corte dAppello, chiamata a giudicare nuovamente applicando i predetti principi in ordine alla natura permanente dellillecito endofamiliare e alla determinazione del dies a quo prescrizionale. Il danno non patrimoniale Stando alla sentenza della Cassazione, sez III 13.5.2011 n 10527: "Il danno non patrimoniale va dunque sempre allegato e provato, in quanto, come osservato anche in dottrina, lonere della prova non dipende invero dalla relativa qualificazione in termini di danno-conseguenza, tutti i danni extracontrattuali dovendo essere provati da chi ne pretende il risarcimento, e pertanto anche il danno non patrimoniale nei suoi vari aspetti, e la prova può essere data con ogni mezzo (v., in particolare, successivamente alle pronunzie delle Sezioni Unite del 2008, Cass., 5/10/2009, n. 21223; Cass., 22/7/2009, n. 17101; Cass., l/7/2009, n. 15405). Come anche in dottrina posto in rilievo, la presunzione semplice o hominis si caratterizza perché il fatto che la fonda va provato in giudizio, mentre nella presunzione legale é stabilito dalla legge che, attraverso lo schema logico della presunzione, non vuole imporre conclusioni indefettibili, ma introduce uno strumento di accertamento dei fatti di causa che può anche presentare qualche margine diopinabilità nelloperata riconduzione, in base a regole (elastiche) di esperienza, del fatto ignoto da quello noto; mentre, quando queste regole si irrigidiscono, assumendo consistenza di normazione positiva, si ha un fenomeno qualitativamente diverso e dalla praesumptio hominis si trapassa nel campo della presunzione legale (v. Cass., 12/6/2006, n. 13546. E già Cass., 16 marzo 1979, n. 1564; Cass., 7 luglio 1976, n. 2525). Una volta che la presunzione semplice si sia tuttavia formata, e sia stata rilevata (cioè, una volta che del fatto sul quale si fonda sia stata data o risulti la prova), essa ha la medesima efficacia che deve riconoscersi alla presunzione legale iuris tantum, in quanto luna e laltra trasferiscono a colui contro il quale esse depongono lonere della prova contraria (v. Cass., 12/6/2006, n. 13546; Cass., 27/11/1999, n. 13291. A tale stregua, la presunzione solleva la parte che ex art. 2697 c.c., sarebbe onerata di provare il fatto previsto, che, come posto in rilievo in dottrina, deve considerarsi provato ove provato il fatto base (v. Cass., 12/6/2006, n. 13546). Quando ammessa, la presunzione, in assenza di prova contraria, impone al giudice di ritenere provato il fatto previsto, senza consentirgli la valutazione ai sensi dellart. 116 c.p.c. Anche la giurisprudenza di legittimità, con riferimento alla prova per presunzioni semplici ha sottolineato che, nel dedurre dal fatto noto quello ignoto il giudice di merito incontra il solo limite del principio di probabilità (v. Cass., 12/6/2006, n. 13546). Non occorre cioé che i fatti su cui la presunzione si fonda siano tali da far apparire la esistenza del fatto ignoto come lunica conseguenza possibile dei fatti accertati secondo un legame di necessità assoluta ed esclusiva (in tal senso v. peraltro Cass., 6/8/1999, n. 8489; Cass., 23/7/1999, n. 7954; Cass., 28/11/1998, n. 12088), ma é sufficiente che loperata interferenza sia effettuata alla stregua di un canone di ragionevole probabilità, con riferimento alla connessione degli accadimenti la cui normale sequenza e ricorrenza può verificarsi secondo regole di esperienza (v. Cass., 23/3/2005, n. 6220; Cass., 16/7/2004, n. 13169; Cass., 13/11/1996, n. 9961; Cass., 18/9/1991, n. 9717; Cass.,20/12/1982, n. 7026), basate sullid quod plerumque accidit (v. Cass., 30/11/2005, n. 6081; Cass.,6/6/1997, n. 5082). In presenza di tale allegazione il giudice deve quindi ritenere, sulla base della presunzione fondata essenzialmente sulla tipicità di determinati fatti alla stregua della regola di esperienza di tipo statistico, provati gli effetti che da tale fatto normalmente derivano, avendo riguardo ad una apparenza basata sul tipico decorso degli avvenimenti. Incombe alla parte a cui sfavore opera la presunzione dare la prova contraria idonea a vincerla, con valutazione al riguardo spettante al giudice di merito (v. Cass., 12/6/2006, n. 13546). Costituendo un mezzo di prova di rango non inferiore agli altri, in quanto di grado non subordinato nella gerarchia dei mezzi di prova e dunque non più debole della prova diretta o rappresentativa, ben possono le presunzioni assurgere anche ad unica fonte di convincimento del giudice (v. Cass.,Sez., Un., 11/11/2008, n. 26972; Cass., Sez. Un., 24/3/2006, n. 6572, Cass., 12/6/2006, n. 13546,Cass., 6/7/2002, n. 9834), costituendo una "prova completa", sulla quale può anche unicamente fondarsi il convincimento del giudice (v. Cass., 12/6/2006, n. 13546. E già Cass., 22 luglio 1968 n 2643). Il giudice, si é peraltro al riguardo precisato, attraverso il ricorso alle presunzioni (nonché mediante lesplicazione se del caso dei poteri istruttori attribuitigli dallart. 421 c.p.c.) può sopperire alla carenza di prova, ma non anche al mancato esercizio dellonere di allegazione, concernente sia loggetto della domanda che le circostanze in fatto su cui la stessa si fonda (cfr., da ultimo, Cass.,Sez. Un., 6 marzo 2009, n. 6454). Se dunque il danneggiato (quantomeno) alleghi il fatto base della separazione dei coniugi incombe al danneggiante dare la prova contraria idonea a vincere la presunzione della sofferenza interiore, così come dello "sconvolgimento esistenziale" del rapporto parentale secondo lid quod plerumque accidit. Nel caso di specie tanto dalla produzione delle prove documentali di ambo le parti, quanto dall′assunzione di tutte le prove orali, emerge lo sconvolgimento esistenziale dell′attrice che solo nel mese dicembre 2017, come sopra approfondito, realizza la consepevolezza di essere stata la vittima di abbandono parentale si svincola dallistintivo desiderio di un rapporto positivo con il genitore, raggiungendo la capacità di percepire autonomamente la reale situazione fonte di pregiudizio ed assumere decisioni reattive di contrasto con la persona desiderata, accettando lilliceità della condotta genitoriale e agendo per il risarcimento dei danni subiti in qualità di figlio rifiutato. Il quantum della pretesa creditoria La richiesta del risarcimento dei danni patrimoniali quantificati in 20.000,00 ovvero maggiore o minore importo che si riterrà di giustizia, per non aver mai corrisposto il convenuto un contributo per il mantenimento per la figlia .....per gli anni 1999-2006 oltre interessi e rivalutazione monetaria, nè alcuna spesa ordinaria nè straordinaria, a seguito della sentenza del Tribunale di ...... di separazione dei coniugi che non poveva a carico del convenuto un assegno di mantenimento a favore dell′attrice all′epoca minore (perchè affidata al padre-odierno convenuto), è stata determinata sulla base del mantenimento disposto dal Tribunale di .......laddove riduceva di 300.000 l′originario mantenimento di 900.000 (poichè l′attrice all′epoca minore veniva affidata al padre); in sostanza, il conteggio in euro: 150,00 mensili per otto anni oltre interessi e rivalutazione monetaria. Per la liquidazione del danno non patrimoniale, tanto nella giurisprudenza di merito quanto in quella di legittimità sono state utilizzate le Tabelle del Tribunale di Milano previste per l′ipotesi del cd. danno da lesione del rapporto parentale, anche se è stato chiarito che quelle tabelle rimangono utilizzabili come parametro di valutazione, con gli opportuni adattamenti lasciati alla valutazione equitativa del giudice di merito (Cass. Sez I sent 22 luglio 2014 n 16657). Alla luce di quanto esposto, il Tribunale adito voglia accogliere la domanda di illecito endofamiliare e per l′effetto condannare il convenuto al pagamento del risarcimento dei danni patrimoniali quantificati in 20.000,00 ovvero maggiore o minore importo che si riterrà di giustizia, per non aver mai corrisposto un contributo per il mantenimento per la figlia ........ per gli anni 1999-2006 oltre interessi e rivalutazione monetaria, nè alcuna spesa ordinaria nè straordinaria, a seguito della sentenza del Tribunale di..............; condannare, altresì il convenuto ........... a risarcire alla figlia ................ il danno non patrimoniale, che il Tribunale adito vorrà riconoscere e calcolare in via equitativa e che riterrà di giustizia, quale danno da illecito endoparentale patito dall′attrice a causa del disinteresse manifestato dal padre-convenuto, come sopra puntualmente argomentato e documentato.